I’m in Berlin and I’m in love…

Questo racconto di viaggio fa parte di Storie ad un metro …dal palco  e della rubrica Volare Via

di Francesca Barzanti

Vorrei vivere viaggiando e viaggiare scrivendo…

Francesca Barzanti

Oggi vi racconto la prima volta che mi sono innamorata: era il 2009 e si chiamava Berlino.
Da allora io e Berlino ci vediamo almeno 2 volte all’anno….

Francesca Barzanti

I’m in Berlin and I’m in love…

Sono due anni che ho una fissa, una fissa che mi è nata un giorno mentre su Mtv mi sono imbattuta in “Lolle” che non so se la conoscete anche voi: Lolle la fumettista che vive a Berlino con i capelli rossi e un sacco di gente strana attorno, Lolle che mi ha insegnato, puntata dopo puntata, che Berlino non è Germania, o per lo meno non è la Germania che ho in testa io fatta di gente puntuale e seriosa.

Berlino è molto altro: è la città divisa per anni dal muro, è la città dove ora che il muro non c’è più tutto è doppio, è la città delle strade grandi grandi grandi a 3 corsie, dove però vanno tutti in bicicletta, è la città degli artisti dove ogni quartiere ha una sua storia e dove tutti i quartieri sono fratelli e vivono in armonia nella stessa casa, è la città che è un po’ Amsterdam, un po’ Parigi, un po’ Londra, ma in fondo nessuna delle tre, perché Berlino è figlia unica e non c’è nulla che possa nemmeno vagamente somigliarle!

Così finalmente la mia fissa l’ho sfatata e viaaaa, sono volata a Berlino, che secondo me era un po’ che mi aspettava! E mi sono scelta una bella camera in un loft a Kreuzberg, il quartiere degli artisti nella vecchia Berlino dell’est, dove le case si colorano alternandosi ai negozietti di fiori colorati, alle boutique di vestiti strani, ai caffè improvvisati, alle esplosioni improvvise di street art e alla vivace comunità turca.

E mi sono subito immersa nell’atmosfera Berlinese: da Alexander Platz, con l’orologio che ti dice che ore sono in tutto il mondo e la torre della televisione mega alta, che l’hanno costruita quando c’era il muro per far vedere che quelli dell’est erano più grandi di quelli dell’ovest, attraverso il viale principale, passando per la fontana del nettuno colorata dai fiori gialli dei giardini, per l’Università dove ci sono i bohemien che non sono mica brutti, e per i ponti che saltellano sulla Sprea, il fiume che attraversa tutta la città.

E sono arrivata alla Porta di Brandeburgo, che Berlino ci passa sotto, e ho continuato fino al Tiergarten: il mega parco cittadino sorvegliato dalla cupola di vetro dal Palazzo del Parlamento, che se ci sali allora hai la città ai tuoi piedi.

Poi Berlino mi ha raccontato la storia del muro, la storia di una città divisa due, la storia delle famiglie che all’improvviso non si potevano più incontrare, e mi ha accompagnata fino al Checkpoint Charlie che era il piccolo varco sul muro dove solo con i permessi speciali da ovest andavi a est e dove solo chi riusciva a scappare andava da est ad ovest.

E lì intorno c’è ancora un pezzo del muro, uno dei tanti piccoli pezzi lasciati per non dimenticare, fatto di cemento e ferro ricoperti di scritte e disegni.

Ma Berlino non ha ancora finito, e mi ha portato a cena di nuovo a Kreuzberg dove fra kebab originali, profumo di spezie e birre verdi, mi sono seduta fuori da un caffè, sotto le coperte di lana, a guardare il passaggio che nessuno qui è uguale: un americano parla con una portoghese, un tedesco ride con un’italiana e c’è uno spagnolo che pensa che io sia irlandese.

Perché è così Berlino: tutto e il contrario di tutto, tante città assieme e tante culture mescolate in un’atmosfera unica che la puoi respirare solo qua.

E il giorno dopo mi sono tuffata nella triste storia ebraica e mi son lasciata suggestionare dal Museo Ebraico costruito dall’architetto Daniel Libeskind, che con le sue installazione riesce a far provare cosa voleva dire per un ebreo essere isolato, cacciato, perseguitato e torturato. E ho passeggiato nel labirinto di colonne che mi girava la testa, e sono entrata nella torre buia che non ero più umana, e poi ho calpestato le facce di ferro tristi che mi sono fatta schifo. E così ora lo so bene cosa è successo davvero e mi trema il cuore e mi si confonde la testa…

E allora Berlino per distrarmi mi ha immerso nei mercatini: quello turco, quello delle pulci, quello delle chincaglierie e mi sono mangiata o un brezel provandomi i cappelli colorati e ho conosciuto un inglese che sa tutto di Berlino, un tedesco che non è mica brutto ed un turco che sembrava Cem di “Kebab for Brekfast”.

Ecco proprio lì, in quel momento ho pensato che non volevo più andare via… !

E la sera sono tornata al loft con il cielo che mi accompagnava saltellando sui tetti e che mi diceva “resta con noi che ancora tante cose ci sono da scoprire…” ed io lo sapevo che mi ero innamorata davvero e che, anche se me ne dovevo andare, prima o poi sarei tornata a Berlino per sempre!

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