Il Funambolo
Questo racconto fa parte di Storie ad un metro …dal palco
di Manuel Mazzara
Ho una convinzione forte, forse folle, che se i miei scritti letterari e quelli scientifici fossero trovati tra cento anni, i posteri si domanderebbero per quale motivo “questo ispirato poeta degli anni duemila perdesse tempo con lavori scientici di mediocre livello”
Manuel Mazzara
Il racconto è nato in fronte al mare. All’epoca mi venne l’idea di combinare un incipit lirico che respirai proprio a Cesenatico con una continuazione in prosa. Spero di aver imbottigliato alcune emozioni di quel momento cosicchè le si possa stappare e respirare ancora a tempo indefinito.
Manuel Mazzara
Il Funambolo
Resto seduto con il mare in silenzio
Avanzo tra le linee sottili che nessuno ricorda
Scomposta l’immagine tua prende forma
Mosaico della reminiscenza
Resto seduto con il mare in silenzio
Avanzo tra le linee sottili che nessuno ricorda
Scomposta l’immagine tua prende forma Mosaico della reminiscenza
Non dormire. Adesso strisceresti lungo la riva di quel perduto mare che sono i sogni. Non entreresti mai davvero dentro, poggeresti un piede, poggeresti l’altro, una mano stringerebbe un pugno d’acqua, che andrebbe via. Poi torneresti indietro – sulla terra – bagnato di quei sapori salmastri ma non ancora sazio di tutto quel mare, di tutta quell’acqua, di quello scherzo così grande da avere un mondo avanti e non potersi dissetare nemmeno un minuto. Ardere dentro al mare, come il desiderio di vedere e non avere, di udire e non capire. Non dormire.
Non dormire. Adesso sono i venti a sbattere le serrande ed è la pioggia a tenerti sveglio, sono i ricordi, la paura, il rimpianto a lasciarti sul filo. Se ogni notte fosse un sonno, il giorno che viene sarebbe un nulla. Chi mai è mai rimasto sveglio alla vigilia di un giorno di noia, di un ordinario passaggio del calendario? Non possiamo che vivere il tempo passato sulla corda, il resto è solo una strisciante attesa, è solo un penoso andirivieni di solleticanti inutilità. Un guardare dietro un sipario senza attori, un attimo perduto dentro la follia dell’ordinario, un cenno incompreso del destino – o della casualità – mentre sgraniamo il rosario della nostra esistenza parola dopo parola, gesto dopo gesto, pensiero dopo pensiero.
Se avessimo sempre un’assenza, un desiderio – forse una speranza – e se avessimo sempre la forza per colmare quell’assenza, soddisfare quel desiderio (e forse coltivare quella speranza) allora potemmo camminare davvero su quel filo sospeso, così sottile, così apparentemente fragile – che se poi sia fragile davvero nessuno lo ha mai saputo. Muoveremmo un passo dopo l’altro, stringendo l’asta come solo il funambolo sa fare. Non troppo a destra, non troppo a sinistra e poi via veloci a bilanciare il passo con oculati movimenti, con destrezza infinita. Se sapessimo muovere quei passi – che sono la nostra vera vita – e riuscissimo a maneggiare quell’asta così importante e così dimenticata che è il pensiero, o che forse è l’amore (non sono forse la stessa cosa?), allora ci vedrebbero penzolare lassù, su quel filo, senza rete. Ci chiamerebbero pazzi – non ho dubbi – ma almeno saremmo vivi. Saremmo vivi perché ogni istante non sarebbe l’attesa di qualcosa che non verrà mai, sarebbe una nuova possibilità per cambiare tutto. Ogni passo significherebbe cadere o rimanere sul filo. Ed ogni passo sarebbe di per sé un obiettivo, una firma posta su un contratto incerto col destino (o con quelle leggi dell’universo così difficili da comprendere che, per quanto arcane, dovranno pur essere scritte).
Adesso, mentre questa pioggia sottile tratteggia un cielo ormai morto ed il vento ne fracassa i poveri scheletri , mentre la terra crepata ne ingoia gli avari regali – proprio adesso – ho deciso. Salirò in solaio e sarà quella vecchia borsa a farsi trovare. Non dovrò cercare molto e lei si lascerà già accarezzare. Le mie mani morbide ed ansiose estrarranno barattoli, astucci, tubetti, e quel naso di gomma. La trasformazione sarà immediata ed indolore. Poi salirò, senza rete. E penzolando lassù guarderò le case lontane, con tutte le luci. E per ogni finestra ed ogni uscio mi inventerò una storia, un universo esclusivo solo per loro. E poi riderò ed un passo dietro l’altro tremerò, avrò paura. Un passo dietro l’altro firmerò il mio contratto con il destino.
Adesso voglio rimanere quassù, lasciatemi perdere, ho ancora troppe favole da inventare.
Questo racconto è di Manuel Mazzara che ha gentilmente concesso a Theatre of Tarots di pubblicarlo sui propri canali di comunicazione.
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